un'intervista
di Agi Hargitai
Quando?
Circa un anno, da febbraio 2015 a marzo 2016.
Dove?
In Danimarca, 15 km da Aarhus.
Cosa?
Volontariato all'estero presso la living-community Hertha Levefœllesskab.
Ho fatto un'intervista con Lisa Parisi, una ragazza italiana che ha fatto un volontariato SVE in Danimarca. Qui puoi leggere la sua esperienza di volontariato, mentre nella seconda parte dell'intervista, potrai leggere qualcosa in più sulla cultura danese!
Perché hai deciso di fare un volontariato all'estero?
Perché penso che sia un'esperienza che ti fa crescere tantissimo. Volevo provare qualcosa di diverso, conoscere un'altra cultura, e mettermi alla prova in un contesto nuovo con una nuova lingua. Volevo vedere un po' il mondo, conoscere nuove persone e scoprire qualcosa di più sul lavoro nell'ambito della disabilità e, soprattutto, su me stessa, conoscere e superare un po' i miei limiti...
Prima di andarci avevi un'idea esatta sul progetto?
All'inizio avevo pensato di far domanda per un progetto in merito alla disabilità in Inghilterra o Irlanda per imparare bene l'inglese, senza però grandi risposte. E' veramente difficile partire per i paesi anglofoni, ci sono tantissime domande. Quindi Novella [la coordinatrice della sua organizzazione d'invio] mi ha consigliato di aprire ed allargare un po' la mia cerchia di possibilità e non fossilizzarmi solo su quella parte d'Europa. E così ho fatto, e quando ho letto che c'era la possibilità di candidarsi per questo progetto molto particolare ed originale in Danimarca, ho provato e la mia applicazione è stata accettata! [ride]
Penso che tu abbia avuto qualche paura oppure qualche dubbio prima di partire... Quali erano e come li hai superati?
Sì, anche perché, a dir la verità, non avevo neppure capito esattamente in cosa consisteva il mio progetto... Solo dopo ho realizzato che era impossibile descriverlo in una breve presentazione, è un progetto così particolare... Prima di partire avevo capito solo che Hertha è una comunità dove vivono alcuni giovani ragazzi con disabilità in stretto contatto con famiglie diciamo “normali”, e che tutto è basato su alcuni workshops, come un panificio, l'orto biodinamico, la fattoria, ecc. Ma, anche se non avevo capito esattamente in cosa consisteva il mio lavoro, mi sentivo pronta per mettermi alla prova in questa nuova esperienza. Poi sono arrivata lì e tutto subito è stato chiarissimo.
E cosa hai fatto esattamente? Com'è un giorno tipico dell'associazione?
E' una domanda abbastanza difficile, perché erano tutti diversi! Però... allora, eravamo quattro volontari SVE e, a turno, ogni giorno due di noi si alzavano alle sette e andavano in panificio a preparare il pane e le cose per i ragazzi della comunità fino alle otto e mezza. Intanto, un altro volontario andava con la macchina a prendere i ragazzi che non abitavano nel villaggio, ma nei paesi vicini, e che venivano a Hertha [la comunità] solo a lavorare durante il giorno. E il quarto andava fare la colazione con i ragazzi e gli operatori nella casa principale. Poi ci incontravamo tutti alle nove per fare una sorta di saluto della mattina, dove prima cantavamo una canzoncina e poi veniva letto il programma lavorativo della giornata. Alle nove iniziavano i sette workshops: la fattoria, il panificio, l'orto biodinamico, il caseificio, la lavanderia, la cucina e la diciamo la sartoria. Io lavoravo nell'orto e nella fattoria. Le attività erano sempre diverse, ogni giorno era differente. E non solo per noi, ma anche per i ragazzi, in modo che essi potessero fare e provare diverse esperienze. Alle una c'era il pranzo e, verso le due e mezza, due volontari riportavano a casa i ragazzi che non abitavano in Hertha. Dopo, nel pomeriggio eravamo “liberi”... potevamo decidere noi se partecipare alle attività che facevano loro, ad esempio ginnastica, teatro, etc, tutti giorni qualcosa di diverso.... o se andare in città o riposarsi, o a farsi un giro...
Che cosa ti è piaciuto di più durante il tuo progetto?
Il rapporto che si è creato con i ragazzi e con gli operatori. La scorsa settimana era il mio compleanno e alcuni ragazzi mi hanno chiamata e mi hanno cantato “Tanti Auguri” al telefono! Dolcissimi! Ho trovato una nuova parte di famiglia e penso che tornerò a trovarli quest'estate...
Che bello!
Sì! Perché lì praticamente lavori con loro, ma alla fine abiti anche con loro. Dopo di lavoro, se mi andava, potevo andare nelle loro case e giocare con loro, cenare con loro, guardare con loro la tv, proprio come una famiglia, tutto molto libero! Era bellissimo!
Quanti anni hanno i ragazzi?
Dai 18 ai 30 la maggior parte, ma c'erano anche persone con qualche anno in più.
Quale tipo di difficoltà avevi durante il progetto?
All'inizio il mio problema più grande era la lingua danese. Lavoravo con dei ragazzi con disabilità, e non tutti parlavano inglese...anche se alcuni sì e mi hanno veramente sorpresa! Ma la maggior parte no e quindi non avevamo una lingua in comune con cui comunicare, visto che io non sapevo una parola di danese. Di conseguenza all'inizio parlavo a gesti e disegni [ride], fino a quando non ho imparato delle frasette-base da usare spessissimo per comunicare con loro.
Gli altri volontari da dove venivano?
Nel mio progetto c'erano quattro volontari: due hanno iniziato a luglio, e due a febbraio, quindi abbiamo fatto solo mezzo anno insieme. Io ho iniziato a febbraio con una ragazza francese, e nel mio progetto c'erano già una ragazza della Repubblica Ceca e una ragazza tedesca. A luglio, al loro posto, sono arrivati altri due ragazzi tedeschi.
Hai fatto amicizia facilmente con loro?
Sì, sì. Infatti, una di loro viene a trovarmi domani qua a Trento! Ho legato molto con tutti gli altri volontari. Vivevamo insieme in un appartamento in un piccolo villaggio, dove non c'era niente. Quindi secondo me era importante creare un buon gruppo, soprattutto per poter organizzare qualcosa tutti insieme nel tempo libero e nei weekends – all'inizio sopratutto quando non hai ancora contatti e amicizie nel villaggio. Poi la mia idea era che, in caso di problemi, le persone che mi avrebbero potuta capire meglio erano proprio loro, in quanto si trovavano nella mia stessa situazione, soli e lontani da casa. Una sorta di auto-mutuo-aiuto...Io sono stata molto fortunata, ho incontrato ragazzi veramente in gamba che sono stati per me un po' come la mia piccola famiglia danese.
Penso che tu abbia tanti bei ricordi... Qual'è il ricordo più bello e significativo che vorresti tenere a mente tutta la tua vita?
Ah, ce ne sono tantissimi!!! Ad esempio abbiamo fatto un spettacolo teatrale durante un festival internazionale sulla disabilità, è stato bellissimo! A me piace il teatro – ma solo guardare, non fare! [ride] ODIO il palcoscenico...penso che l'ultima volta che ci sono salita era durante una recita alle scuole elementari!... Ma lì alla fine, nonostante un pubblico immenso, i ragazzi erano tutti tranquillissimi e carinissimi e hanno trasmesso tranquillità e serenità anche a me! Ed è stato bellissimo! Anche con gli operatori abbiamo scherzato e riso un sacco! Ma questo è solo uno dei tanti ricordi stupendi che porterò sempre con me...Fare questo SVE è stata la decisione migliore della mia vita!
Cosa diresti alle persone che hanno diversi pregiudizi sulle persone disabili?
Che sarebbe ora di superarli! Questi ragazzi mi hanno dato tantissimo, perché sono persone dolcissime, apertissime e spesso non hanno i blocchi mentali che magari noi abbiamo... loro sono come sono, spontanei e genuini, ed è bellissimo! Ho conosciuto persone fantastiche.Ed alla fine sono veramente persone normalissime, con i loro limiti, i loro pregi e i loro difetti, come tutti! Spesso si tende a vedere solo i loro problemi, ma in verità hanno tantissime potenzialità e anche loro possono fare la loro parte della società. Basta creare un ambiente adatto e stimolante, aiutarli e supporli nel giusto modo... Per esempio ad Hertha i ragazzi hanno la possibilità di provare diversi workshops e imparare cose diverse, in modo da sviluppare più capacità possibili. Magari per imparare un lavoro hanno bisogno di più tempo, ma possono impararlo. Anzi, facevano cose per me quasi impossibili! Per esempio, dei tappeti bellissimi! Bravissimi!
A che tipo di persona vorresti consigliare quest'esperienza?
Per quanto riguarda questo progetto, secondo me è importante che sia una persona che non ha bisogno di stare nella città, perché qui la città quasi non c'è. Deve apprezzare il lavoro e la vita nella natura. Con le persone... deve essere aperto mentalmente, perché è un progetto molto particolare. Inoltre sarebbe meglio una persona flessibile perché ogni giorno è diverso, e potrebbe cambiare anche all'ultimo...Deve essere una persona che non ha paura di mettersi in gioco e mettersi alla prova...Ma comunque è stata un'esperienza per me rilassante, c'era pace... Con la volontaria francese dicevamo sempre che era come essere in un villaggio vacanze! Un po' isolato dal mondo, tipo come essere in una bolla...Un posto così particolare, così diverso da tutto, mi sentivo al sicuro...
Dopo della “bolla” che vorresti fare nella “vita vera”?
Adesso sto finendo la mia tesa dell'università, quindi sono concentrata su questo. Poi a dir la verità, mi piacerebbe provare un'altra esperienza all'estero in un altro posto, magari fuori dall'Europa e magari sempre nell'ambito della disabilità. Oppure, dopo averla sperimentata in prima persona durante il mio SVE, stavo pensando di fare un corso di arte terapia a Milano.
Lisa è stata in Danimarca per un anno – ha avuto esperienze veramente interessanti sulla cultura danese. Se vuoi sapere di più della loro cultura, fai click qui! >>